Il falso dio dei tassi zero

Come le banche centrali stanno affondando le famiglie

Il Giappone negli anni '90: uno dei primi esempi dei danni causati da politiche monetarie eccessivamente espansive
Il Giappone negli anni ’90 fornisce uno degli esempi più chiari e precoci dei danni provocati da politiche monetarie troppo accomodanti, in particolare dall’uso di tassi d’interesse artificialmente bassi. Dopo gli accordi di Plaza del 1985, il Giappone fu costretto a rivalutare la propria valuta. Questo cambiamento causò un rallentamento delle esportazioni, che fino a quel momento erano state il principale motore della crescita economica giapponese. Per contrastare questa frenata, la Banca del Giappone ridusse i tassi d’interesse nel tentativo di stimolare i consumi interni e compensare il calo dell’export. Tuttavia, tale decisione portò alla formazione di una gigantesca bolla immobiliare che esplose nel 1991. Il Giappone non si riprese mai del tutto da quello shock economico. Se in passato sembrava destinato a sfidare gli Stati Uniti come superpotenza economica, alla fine degli anni '90 il Giappone era stato superato dalla Germania, divenendo la terza economia mondiale.

Politica Monetaria Espansiva: la speculazione al posto della produttività
Tra il 2001 e il 2020, le banche centrali hanno adottato politiche monetarie espansive che hanno privilegiato la speculazione finanziaria rispetto all’attività economica produttiva. Queste politiche hanno creato un contesto in cui aziende mal gestite potevano acquisire concorrenti più innovativi solo grazie all’accesso a finanziamenti a basso costo, artificialmente sovvenzionati. Una dinamica in netta contraddizione con i principi della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), che promuove sistemi economici al servizio di tutta l’umanità, in particolare dei più vulnerabili.

Il Giappone degli anni ’80: sfide strutturali e "Zaitech"
Negli anni ’80, il mercato interno giapponese faticava ad assorbire la sovrapproduzione industriale. La soluzione più logica sarebbe stata un forte aumento dei salari, che avrebbe consentito alle famiglie giapponesi di acquistare i beni prodotti. Tuttavia, salari più alti avrebbero anche reso le esportazioni meno competitive, aggravando i problemi causati dagli accordi di Plaza.

In risposta, molte aziende cercarono di mantenere profitti e dividendi attraverso strategie alternative in un contesto di stagnazione economica. Nacque così lo "zaitech", una strategia speculativa che consisteva nel prendere a prestito capitali a tassi molto bassi per investirli in attività finanziarie, anziché in investimenti produttivi. Anziché rischiare lanciando nuovi prodotti o servizi, molte imprese indebitate a tassi vicini allo 0% investirono nel mercato immobiliare.

Poiché l’immobiliare rappresenta un bene primario, la domanda rimase elevata nonostante l’aumento dei prezzi. Questo spinse le famiglie a ridurre le spese discrezionali—beni di lusso, auto, vacanze, abbigliamento firmato—per riuscire a permettersi un’abitazione.

Espulsione delle famiglie e crollo della produttività
I tassi d’interesse artificialmente bassi crearono una competizione non intenzionale tra famiglie e imprese per l’accesso al mercato immobiliare. La domanda legittima di case da parte delle famiglie e di immobili commerciali da parte delle imprese fu aggravata da una domanda speculativa. Le aziende, potendo indebitarsi più facilmente e in misura maggiore rispetto alle famiglie, spesso offrivano di più, facendo salire i prezzi e tagliando fuori le famiglie dal mercato.

Con l’aumento dei prezzi immobiliari, molte imprese iniziarono a trarre profitti dalla speculazione edilizia anziché dalla produzione o vendita di beni. Gli azionisti premiavano questo comportamento, mantenendo in carica manager poco innovativi purché i profitti reggessero. Questo rafforzò ulteriormente lo "zaitech", generando un ciclo vizioso di speculazione a scapito dell’economia produttiva.

Sebbene presentate come misure a sostegno di investimenti e consumi, tali politiche si rivelarono estremamente dannose. Compromisero i meccanismi naturali del mercato e l’autonomia economica locale, violando il principio di sussidiarietà della DSC, secondo cui le decisioni vanno prese al livello più locale e adeguato possibile. Con la manipolazione dei tassi d’interesse, le banche centrali accentuarono un’eccessiva centralizzazione delle scelte economiche, a scapito dell’innovazione e della buona gestione.

Politica monetaria espansiva, ricchezza e disuguaglianza
Il denaro è un bene universale creato dalle banche centrali per conto di tutti i cittadini. Tuttavia, le politiche monetarie espansive hanno avvantaggiato in modo sproporzionato i più ricchi. Gonfiando i prezzi degli asset, queste politiche hanno arricchito chi già possedeva patrimoni, rendendo più difficile per i lavoratori accedervi. Di fatto, si è verificato un trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi.

Il principio della destinazione universale dei beni, fondamentale nella DSC, afferma che le risorse della terra devono servire il bene di tutti. Eppure, le politiche monetarie espansive hanno concentrato la ricchezza in poche mani, in particolare attraverso i mercati immobiliari e finanziari gonfiati. Oggi, giovani coppie e famiglie a reddito medio-basso affrontano enormi difficoltà nell’acquisto di una casa, spesso vincolandosi a mutui trentennali. Invece di usare i risparmi per avviare attività o investire nell’innovazione, devono impiegarli per acquistare asset già esistenti, senza creare nuovo valore.

Tale processo distorce anche le misure ufficiali dell’inflazione. L’inflazione degli asset—come il rialzo dei prezzi immobiliari o azionari—non viene rilevata dagli indici tradizionali, ma riduce significativamente il potere d’acquisto del lavoro. Lavori che potrebbero essere creati non lo sono, e idee innovative vengono soffocate prima di emergere.

Lavoro svilito e dignità compromessa
La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea il valore del lavoro come fondamento della dignità umana e della realizzazione personale. Tuttavia, la tendenza delle imprese a privilegiare la speculazione finanziaria rispetto all’attività produttiva ha ridotto la creazione di posti di lavoro e contribuito alla disoccupazione di lungo termine. Gonfiando il valore degli asset invece di produrre beni e servizi, le imprese hanno scollegato i profitti dal lavoro reale. Ciò svilisce il significato del lavoro, riducendolo a mera sussistenza, in contrasto con l’insegnamento cristiano che lo considera veicolo di crescita personale e creatività.

Distruzione della concorrenza: la trappola dei tassi zero
Le politiche a tasso zero soffocano la concorrenza. Le grandi imprese, potendo accedere a finanziamenti quasi gratuiti, possono facilmente acquistare concorrenti più piccoli, eliminando potenziali sfidanti. Ciò mina il modello schumpeteriano di "distruzione creativa", secondo cui i monopoli sono una ricompensa temporanea per l’innovazione e il rischio. Senza rischio, i monopoli si cristallizzano, e le autorità antitrust non riescono a proteggere la dinamicità del mercato.

Alla fine, le politiche di tassi zero trasformano il denaro—bene universale—in uno strumento al servizio di pochi privilegiati.

Giustizia economica e opzione preferenziale per i poveri
Le politiche monetarie espansive hanno aggravato la disuguaglianza economica. Se la disuguaglianza può essere giusta quando riflette differenze di produttività o rischio assunto, essa diventa ingiusta quando perpetua disparità di ricchezza indipendentemente dall’impegno individuale. Papa Francesco ha più volte denunciato i rischi di mercati deregolati e sistemi economici che trascurano i poveri.

Sebbene i tassi bassi siano pensati per stimolare consumi e investimenti, non portano beneficio alle famiglie povere, che non possono investire a prescindere dal costo del denaro. Intanto, i tassi bassi gonfiano il valore degli asset, arricchendo chi già li possiede. Le famiglie povere, invece, devono dedicare una quota sempre maggiore del reddito per accedere a beni essenziali come la casa o la pensione.

Ad esempio, anche se i tassi bassi riducono il costo dei mutui, fanno aumentare i prezzi delle case. Negli ultimi decenni, in molte aree del mondo i prezzi immobiliari sono triplicati o più, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, i tassi bassi non migliorano l’accesso alla casa, e finiscono per contraddire l’opzione preferenziale per i poveri sancita dalla Dottrina Sociale della Chiesa.

La necessità di eliminare la Banca Centrale
Il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones auspica una nuova economia fondata su principi etici e una migliore regolazione per frenare le pratiche predatorie e speculative. Tuttavia, la soluzione non è semplicemente una maggiore regolamentazione. L’eccessiva ingerenza dello Stato, incluse le politiche delle banche centrali come la stampa di moneta, è parte del problema.

Togliere alle banche centrali il potere di stampare denaro permetterebbe alle aziende mal gestite di affrontare le conseguenze dei propri fallimenti, ripristinando la responsabilità nel sistema. Le banche commerciali hanno sempre avuto la capacità di creare denaro. Ciò che è cambiato è che ora sono le Banche Centrali a decidere chi sarà ritenuto responsabile e chi verrà salvato.

Anche se la chiusura delle Banche Centrali comporterebbe disagi e perdita di posti di lavoro nel breve termine, il regime attuale provoca comunque disoccupazione attraverso stagnazione, disuguaglianze e cicli infiniti di bolle e crolli, come dimostrano i casi distruttivi del Giappone (1991), degli Stati Uniti (2008) e, potenzialmente, della Cina (2025).

François-Marie Tardo-Dino

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